Una grande stanza vuota. Le pareti sono bianche, il pavimento di cemento levigato riflette la luce che filtra da alte finestre. In fondo alla sala, solitario, è appeso un quadro astratto dai toni sfumati e leggeri. Gli unici visitatori presenti sono Fulvio (un uomo sull’ottantina con i capelli rossicci e gli occhi vivaci, seduto su una panchina dal design minimale, completamente assorto nella contemplazione dell’opera) e Giacomo (più giovane, larga felpa e occhiali dalla montatura spessa) che entra nella sala consultando il suo smartphone. FULVIO: Guardando queste onde di colore, mi chiedo quale suono abbiano fatto nascendo. Immagino il momento preciso in cui il pennello ha toccato la tela: forse è stato come il sospiro del mare sulla sabbia, o come il vento che accarezza un velo di seta... GIACOMO: Mi scusi. Ho sentito le sue parole e... mi dispiace interromperla, ma credo debba sapere una cosa. Quello che sta guardando è stato generato da un computer. F (continuando, perso nei suoi pensieri): ...vedo la mano che ha creato queste sfumature dal corallo all’azzurro, e quasi posso sentire il fruscio delicato delle setole del pennello... G (sedendosi accanto a lui sulla panchina): Non c’erano setole e, no, niente pennello, signor... come si chiama? F (senza distogliere lo sguardo dall’opera): Fulvio. G: Io sono Giacomo. E mi creda, al posto del pennello c’era un algoritmo, una serie di calcoli matematici. F (voltandosi lentamente): Allora... il suono del click del mouse? Non è forse uno dei pennelli del nostro tempo? Non è forse la mano dell’artista che si è estesa attraverso nuovi strumenti? G: Mouse... già. Ma non capisce? Non c’è stato alcun suono reale. Guardi, posso mostrarle il processo di generazione... F: E se anche il digitale avesse la sua musica? Se anche i pixel respirassero? Se chiudi gli occhi e ascolti, potresti sentire il silenzio del processore che dipinge, il battito del codice che crea. La bellezza non chiede permesso al mezzo che la genera. G (abbassando il telefono): Ma... è artificiale. F: Come i colori o il pennello che un pittore potrebbe acquistare online. O come la carrozzeria di una bella auto stampata da una pressa in una fabbrica Italiana. L’emozione è meno vera se nasce da qualcosa creato con un mezzo meccanico? (torna a guardare l’immagine) Senti... sta comunque sussurrando. G (dopo una lunga pausa, guardando l’opera con occhi diversi): Io... non sento niente. O: Devi solo riabituarti. Qualcuno un giorno disse che la bellezza è negli occhi di chi guarda. Forse dentro l’anima. Sta a te. GIACOMO (togliendosi gli occhiali, parlando più dolcemente): Forse... forse potrebbe insegnarmi ad ascoltare? FULVIO: Chiudi gli occhi, dimentica come è stata creata e lascia che ti parli comunque. La luce del pomeriggio inizia a calare, creando nuove ombre e altre sfumature sull’opera e sull’arte. Mentre i due rimangono, finalmente, in silenzio.